TECNICA – iniezione sui motori 2T, passato, presente e futuro
Testo: Romolo Ciancamerla
Chiacchierata semiseria su una soluzione tecnica che potrebbe rivoluzionare il mondo dell’Enduro. Per quelli che, come me, sono cresciuti a pane, getti e spilli, la recente introduzione su motori 2T di serie della Iniezione Elettronica ha il sapore di una rivoluzione epocale.
Se alla fine degli anni ’50 l’invenzione dello Scarico ad Espansione, frutto delle conoscenze gasdinamichedi un Ingegnere della Germania dell’Est – che le aveva sviluppate cercando di far arrivare i razzi del Terzo Reich sulle teste dei Londinesi – aveva di colpo fatto diventare il motore 2T (usato in precedenza solo su moto leggere per la sua semplicità costruttiva), il propulsore ideale per qualsiasi motocicletta da competizione, l’applicazione dell’Iniezione Elettronica, (EFI) riveste oggi un’importanza anche superiore, salvando il nostro caro 2T da una estinzione quasi certa.
È ormai noto a tutti che i sempre più restrittivi limiti di omologazione in materia di inquinanti avevano praticamente decretato la fine del nostro caro 2T alimentato a carburatore; a fatica si erano superati i limiti Euro 3 e sarebbe stato impensabile rimanere “legalmente” dentro quelli prescritti per l’Euro 4, in vigore totale dall’inizio del 2017.
La ragione principale per cui il motore 2T rilascia in atmosfera idrocarburi incombusti (che sono la frazione più nociva di tutti gli inquinanti che qualsiasi motore a combustione interna alimentato a benzina emette) in quantità decisamente superiore al suo fratello 4T risiede proprio nella sua estrema semplicità: quando, nella corsa di salita del pistone, si aprono i travasi, la luce di scarico è ancora non completamente chiusa e una bella fetta della carica se ne scappa direttamente dallo scarico; nonostante in un certo arco di giri la marmitta ad espansione fornisca una sorta di “tappo” pneumatico col suo va e vieni di onde di pressione, in tutti gli altri regimi questa “fuga di gas” può raggiungere anche il 25% di tutto quello che il motore ingurgita.
Questa situazione rende ragione anche della fama di motore “assetato” che da sempre accompagna il 2T, dal momento che i consumi specifici sono ben più alti (a parità di prestazioni) rispetto al 4T che invece la benzina se la tiene dentro tutta chiudendo le valvole per quasi tutta la fase di compressione. Inoltre il 4T, con tutta tranquillità (ha a disposizione un giro in più per ogni ciclo!) espelle tutti i gas combusti ed evita così che si mescolino con la carica fresca, cosa che il nostro 2T non riesce a fare completamente peggiorando ulteriormente lo stato delle emissioni!
Bene, abbiamo capito che l’interno del 2T è qualcosa di assimilabile al Colosseo con le porte aperte, in una situazione in cui si fatica a tenere dentro quello che ci si è riversato, è di fondamentale importanza vedere come ci è arrivato.
Prima di addentrarci nel tortuoso cammino che la nostra carica deve percorrere prima di essere “schiacciata” e riuscire poi a fare quello che ci si aspetta da lei, cioè esplodere, è necessario premettere che, per esplodere come si deve, la miscela (che bello questo nome, un cocktail di benzina ed olio che dal 5/6% della nostra gioventù è sceso al 2% scarso di oggi, ma che emana sempre celestiali effluvi una volta combusto) deve intimamente mescolarsi con l’aria in un rapporto in peso preciso e pressoché fisso di 1 parte su 14,7, rapporto che è determinato dal DNA chimico dei due componenti. Se la carica è troppo grassa la combustione sarà più lenta e ancora più “inquinata” se, al contrario, sarà troppo magra di combustibile, le emissioni saranno più pulite, ma le temperature potrebbero raggiungere valori intollerabili con un relativo calo della potenza del propulsore.
Mantenere questo rapporto, che già dal nome fa paura: “il Rapporto Stechiometrico”, costante in tutte le condizioni di uso del nostro motore, con rapidissime variazioni di giri e di carico, con cambiamenti di temperatura e pressione atmosferica (che facendo variare la densità… e quindi il “peso” dell’aria, richiedono un conseguente adeguamento del rapporto con la miscela per mantenerlo tale) è un compito difficilissimo che è stato svolto, per quasi tutta la storia del motore 2T dal vecchio e caro carburatore.
Le dimensioni del getto del minimo e del massimo e il rapporto tra il diametro del polverizzatore e dello spillo conico determinano, per ogni grado di apertura del gas, la benzina che viene “risucchiata” dalla depressione che si crea nel Venturi del carburatore.
Per quanto precisa possa essere la realizzazione dei pezzi che ho citato e per quanto azzeccata possa essere la selezione degli stessi (la famosa operazione della “carburazione”, croce e delizia di ogni amante del 2T), quella bestia del “rapporto stechiometrico” risulta essere corretto solo in determinate condizioni.
Basta che cambi la temperatura esterna, che si metta a piovere o che, magari, il filtro sia un po’ più sporco del solito o che si salga sopra i 1.000 metri di altitudine e quelle condizioni vanno a farsi benedire!
Questo è proprio il limite del carburatore, cioè l’essere a “parametri fissi”!
La possibilità di agire in maniera molto più ampia sui parametri che regolano il rapporto stechiometrico è il grossissimo vantaggio dell’alimentazione ad Iniezione.
Ormai lo sapete che questo sistema si differenzia dal carburatore per il fatto che la benzina viene “spruzzata” in pressione all’interno del motore attraverso un “iniettore” e la possibilità di regolare la durata di questa spruzzata in funzione di molti altri parametri (invece che essere legato alla sola apertura del gas) ne ha sempre decretato la superiorità, sia per le prestazioni, i consumi e i livelli di inquinanti, rispetto al semplice (e quindi economico!) carburatore.
Prima di fare una breve storia dell’applicazione dell’alimentazione ad iniezione sia sui 4T che sui 2T, che ci aiuterà anche a capire il perchè la sua definitiva introduzione (ormai pressochè totale sui 4T, dal momento che anche l’autovettura più basica ne è dotata, e solo iniziale sui 2T, ma destinata ad estendersi a macchia d’olio!) abbia dovuto attendere più di 100 anni da quando il motore a combustione interna è stato inventato, mi preme precisare che un sistema di iniezione si può dividere in due grandi gruppi, a seconda di dove l’iniettore spruzza. Se quest’ultimo è posto sul condotto di alimentazione, subito a valle del corpo farfallato (quello che rimane del vecchio carburatore, in sostanza una valvola a farfalla che regola solo l’immissione dell’aria) o nei condotti di travaso sui 2T (come la TPI della KTM) il sistema si dice Indiretto.
Nel caso invece l’iniettore spruzzi direttamente in camera di combustione (sistema che permette molti vantaggi, ma complica enormemente la vita dell’iniettore, che si viene così a trovare in un ambiente “infernale”, sia per le pressioni che deve vincere che per le temperature con cui deve fare i conti) il sistema è chiamato Diretto.
Non mi addentro troppo nelle differenze tra i due sistemi e nella descrizione dei rispettivi pro e contro ma, per il momento, mi limito a dire che per il 2T questa distinzione è di importanza anche superiore a quella che riveste per il 4T e ci tornerò nelle conclusioni.
STORIA DELL’ALIMENTAZIONE AD INIEZIONE
La maggioranza di noi Enduristi, che è rimasta stupita dalle recentissime applicazioni sui 2T e da quella sui 4T prima, sarà portata a pensare che l’Iniezione sia una diavoleria inventata nel secondo millennio. Niente di più sbagliato!
Ci credereste che, in realtà, l’iniezione è nata prima del carburatore come lo conosciamo noi?
Eh già, è proprio così: quando Rudolph Diesel, sul finire dell’800, inventò quel motore che molti hanno considerato per anni adatto solo ai camion e che adesso abbiamo sotto al cofano di quasi tutte le nostre auto, lo potè fare solo dotandolo di un impianto di iniezione.
Poca importanza ha il sapere che con un combustibile come il gasolio è necessario iniettare solo a compressione praticamente conclusa per farlo accendere per autocombustione; il concetto dell’iniettore che spruzza ad alta pressione è proprio nato da lì ed ha accompagnato tutta la storia di quel motore, mettendo a disposizione la tecnologia costruttiva dell’iniettore (che è piccolo ma tutt’altro che semplice, per le condizioni in cui lavora e per la precisione di dosaggio che deve garantire) anche per le motorizzazioni a benzina.
Lo sviluppo di impianti di iniezione, completamente meccanici, sui motori a benzina si deve alla aviazione e raggiunse un elevatissimo livello di sofisticazione soprattutto in Germania con la Bosch, al punto che tutti i motori da aereo del Terzo Reich ne erano dotati.
Da queste esperienze vennero sviluppati impianti di iniezione diretta, con sofisticatissime pompe meccaniche, che equipaggiarono le famose Mercedes F1 ed anche alcune supercar Mercedes, BMW e Porsche. Chi era appassionato di auto da corsa degli inizi anni ‘70 non può non ricordare i famosi impianti Kugelfischer che, pur completamente meccanici, controllavano già l’iniezione in funzione del numero di giri, della temperatura e della depressione nel condotto di aspirazione, oltre che dell’angolo farfalla; era già possibile cambiare le “mappe” di iniezione, ma il tutto era comandato da un insieme di camme che solo degli specialisti sapevano “accordare”.
Successivamente la Lucas introdusse degli impianti, sempre meccanici, ma con alimentazione indiretta, più semplice da settare (ed anche decisamente più economici), che si affermarono e dominarono per quasi un ventennio sia in F1 che sulle supercar dell’epoca.
Intorno alla metà degli anni ‘70 e in concomitanza con l’introduzione delle prime restrizioni in termini di emissioni, ancora la Bosch, con il suo impianto Jetronic a controllo elettronico, getta le basi per il progessivo estendersi degli impianti di iniezione, che cominciano ad essere usati sempre più diffusamente anche su vetture di gamma sempre più bassa.
L’Elettronica ha fatto il miracolo: gli impianti di iniezione non necessitano più di precisissimi e costosissimi sistemi meccanici e l’aumentata potenza delle centraline e l’evoluzione della sensoristica rendono possibili controlli dell’iniettore (adesso messo in pressione da una pompa elettrica) sempre più sofisticati e i parametri che si possono inserire nel controllo dell’iniezione aumentano fino ad includere quello più importante per il controllo delle emissioni: il sensore di ossigeno (la famosa sonda lambda) che, misurando appunto il livello di ossigeno allo scarico, è in grado di determinare istantaneamente se la combustione sia grassa o magra e, di conseguenza, può intervenire sui tempi di iniezione per regolare il dosaggio.
Ma in tutto questo proliferare di veicoli “iniettati”… nel mondo della moto nessuno pensava di passare allo “spruzzo”?
In realtà il carburatore si era sempre rivelato sufficiente ad alimentare le moto anche le più potenti, quindi nessuno pensò mai di sviluppare un sistema di iniezione meccanica adatta alle moto ed il progressivo affermarsi dei motori 2T, che garantivano erogazioni di potenza decisamente superiori a quello che le ciclistiche dell’epoca potessero gestire, ritardò questa introduzione.
Si dovette attendere l’avvento dell’elettronica per vedere il primo sistema di iniezione su una moto, la Kawasaki GPZ 1100, anche se il suo sistema, derivato dal Jetronic, non era in realtà molto evoluto, tanto che la versione a carburatore di quella moto è ricordata come decisamente più azzeccata!
L’evoluzione delle elettroniche portarono l’iniezione ad un livello che le cominciò a far preferire nelle corse, con la Bimota YB3 prima e le Ducati 851 e 916 poi, anche se le voluminose centraline basate su EPROM (memorie programmabili) evidenziarono uno dei limiti per l’applicazione sulla moto. Gli spazi a disposizione per gli accessori sulla moto hanno reso spesso impossibile, o complicatissimo, utilizzare le stesse componenti che invece si alloggiano comodamente sotto il cofano di un auto.
Quello che ha reso gli impianti EFI un’istallazione consolidata sulle moto è stato il passaggio a centraline sempre più piccole, basate su microprocessori che hanno aumentato la loro velocità di elaborazione in maniera inversamente proporzionale alle loro dimensioni e ciò ha permesso di gestire mappe sempre più complesse e performanti. Finalmente la EFI poteva essere adottata sulle nostre amate tassellate!
Il microchip ci ha salvato, la centralina Marelli delle prime iniezioni del 1990 ce la saremmo dovuta mettere nel camelback!
IL 2T e LA INIEZIONE ELETTRONICA
Se sul 4T da moto l’iniezione ha faticato molto ad essere applicata rispetto all’auto, per il 2T si è dovuto attendere di più, nonostante il 2T ne abbia ancora più bisogno! La ragione è legata, oltre allo stato di semioblio in cui il 2T ha versato nei primi anni 2000, anche e soprattutto alla difficoltà di istallare correttamente la EFI su questo motore. Senza scendere in profondi dettagli tecnici che vi concilierebbero il sonno, basti pensare che su qualsiasi motore che giri a 10.000 giri, il tempo a disposizione per l’iniezione è di circa 3 millisecondi, ma il tempo tra un’iniezione e l’altra (cioè l’arco temporale in cui il sistema deve leggere i parametri, confrontarli con i dati incamerati nelle mappe e decidere il successivo tempo di iniezione) nel 2T è pressoché lo stesso (cioè 3 brevissimi millisecondi), mentre nel 4T il tempo è 3 volte maggiore; questo fa una differenza notevolissima nelle prestazioni richieste alle centraline per ottenere gli stessi risultati!
Se consideriamo, inoltre, che l’esigenza dei 2T di avere olio nella miscela (olio che brucia malissimo e tende ad imbrattare la candela) porta spesso al cosidetto “misfire”, cioè alla mancanza di accensione in uno o più cicli (che causa il ben noto fenomeno delle “pistonate” sui 2T di cubatura importante) e che quando si presenta il misfire i sensori e la centralina dell’iniezione “impazziscono” per qualche istante e che, oltretutto, sempre l’olio nella miscela, rende impossibile nel 2T l’uso della sonda lambda (l’olio incombusto la “inquina” e rende la sua misurazione totalmente inutilizzabile), ci rendiamo conto di come le strategie di controllo dei 2T (di disegno tradizionale) siano decisamente più complesse.
IL PASSATO
Per tutti questi fattori, la storia dell’applicazione dell’iniezione sui 2T è decisamente povera, ma ha una eccezione particolarmente simpatica.
I primi motori da auto equipaggiati di impianto di iniezione che arrivarono in produzione di serie sono stati proprio due motori 2T: i tedeschi Gundrod e Goliath, nel primissimo dopoguerra usarono un sistema meccanico di iniezione diretta Bosch, per avere un motore semplice e leggero, ma che non consumasse come una spugna. Da quella primissima applicazione si devono attendere almeno 25 anni prima che si ritrovi un impianto di iniezione sui 2T, ma parliamo di motori fuoribordo, che da allora hanno continuato ad usarla in maniera massiccia, anche se i motori marini non hanno tanti punti di contatto con le nostre moto, soprattutto perchè in mare si viaggia quasi sempre a regime fisso e l’iniezione elettronica soffre particolarmente i transitori, che invece sono fondamentali sulle moto, specialmente quelle da Enduro!
Tornando al nostro mondo si dovette attendere la decisa evoluzione dell’elettronica perchè qualcuno tentasse di usare (ma solo nel mondo delle competizioni) la EFI sui 2T. Le uniche notizie certe che ho riguardano l’ultima Gilera 250 da Cross del 1984, in cui fu usata in fase sperimentale una Marelli simile a quella usata da Ducati sui 4T e poi la Cagiva 500 GP usata in gara solo una volta da Fogarty e infine, la fantastica e misteriosa Honda NSR 500 che venne usata spessissimo in gara da Ito intorno al 1995. Sempre parlando di Gilera ho altri due tentativi prototipali da citare, entrambi da fonte certa, visto che in ambedue lavorai direttamente. Nel 1989 fu provato, con ottimi risultati, un impianto Dellorto su una 125 2T stradale, ma poi l’esperimento non fu portato avanti per i costi che comportava.
Il secondo si riferisce al 1992, quando sulla 250 da GP venne provato un impianto completamente sviluppato dal nostro Reparto Corse: dava dei risultati entusiasmanti al banco prova (il 10% in più come potenza massima), ma quando si trattò di metterla in pista ci accorgemmo che la difficoltà di cui parlavo prima, cioè definire mappe efficenti nei transitori erano di difficilissima soluzione. Quel progetto si fermò nel 1993 a causa dello stop alle attività sportive Gilera, ma che credessimo completamente in quella strada lo dimostra il fatto che una moto che avevamo quasi pronta fosse stata progettata solo per l’uso della EFI!
Tutti questi esempi si riferiscono a impianti di iniezione di tipo indiretto, decisamente meno critico, tranne forse la misteriosissima Honda NSR, che io sospetto (i dati a disposizione sono scarsissimi) usasse invece un sistema ad iniezione diretta. L’iniezione diretta è decisamente più complessa perchè i tempi si riducono drasticamente e questo necessita di strategie ed elettroniche sofisticatissime, di cui però Honda doveva disporre, se si permise di competere (e con un ottimo risultato) nella Dakar del 1995 con il mirabolante Prototipo EXP-2, di cui vi parleremo in un articolo dedicato per spiegarne tutte le prelibatezze tecniche, ma che sicuramente era dotato di un impianto di iniezione diretta!
L’unico motore 2T con iniezione elettronica che sia mai arrivato alla produzione di serie in passato, anche se limitata a soli 150 esemplari, è stato il Bimota V2 500 nel 1997. Questo bicilindrico era avanzatissimo, con iniezione diretta bi-iniettore e lubrificazione separata, ma soffrì di insanabili problemi di messa a punto e fu presto sostituito da una versione più tradizionale a carburatori. Sorvolo su altre applicazioni dell’iniezione, tipo quella della Aprilia Di-Tech e della Piaggio, su scooter 2T perché le caratteristiche di questi propulsori poco hanno a che fare con quello che le nostre motorette devono compiere quando sono impiccate su una mulattiera! Siamo arrivati ai giorni nostri e sulle applicazioni di KTM/Husqvarna è inutile che mi dilunghi, dal momento che ne avete abbondantemente sentito parlare e son sicuro che parecchi di voi le avranno già provate!
IL FUTURO
Le esperienze che il mercato e le corse permetteranno di acquisire sulla ultima generazione di 2T EFI appena introdotta, non potranno che migliorarne le caratteristiche e son sicuro che diversi altri contender ne seguiranno l’esempio. Non pretendo di avere a disposizione una sfera di cristallo, ma sono abbastanza sicuro che le EFI di tipo indiretto avranno almeno un triennio di vita in cui le migliorie si succederanno continuamente, soprattutto a livello di strategie e di mappe. Non posso dirlo con certezza, ma sono abbastanza convinto che i software attualmente usati siano una diretta derivazione di quelli già in uso sui 4T, quindi sarà necessario un affinamento continuo, prima di trovare la maturità derivante da una specializzazione spinta che si adatti alle tipicità del 2T.
Da molte parti si sentono e si leggono commenti scettici sul futuro di queste soluzioni, basati sul concetto che le complicazioni elettroniche potrebbero snaturare la “primordiale” semplicità del 2T, impedendo al normale utente di “mettere le mani” alla propria moto sia per gestirne la manutenzione che il settaggio personalizzato, ma io sono di altro avviso. Le nuove generazioni nascono già senza più la paura di questo mondo “connesso” e coglieranno al volo quello che per noi esponenti della generazione “1,9K” può sembrare una barriera. Già mi vedo l’endurista che cambia il settaggio dell’iniezione collegando il suo cellulare alla centralina!
Se guardiamo ancora avanti, certamente la EFI permetterà di superare anche i prossimi inasprimenti legislativi in materia di emissioni, mantenendo la base del motore sostanzialmente inalterata. Il passaggio a sistemi di EFI con iniezione diretta in camera non potrà che migliorare gli ottimi risultati raggiunti ed il costante miglioramento della componentistica elettronica certamente darà una mano.
Se poi vogliamo sconfinare nella fantascienza (che poi tanto fantascienza non è, da qualche parte qualcuno ci sta già lavorando) potrei anche fantasticare su un motore che sotto è un 4T (quindi con la lubrificazione integrata a quella del cambio e non più a perdere) e sopra è un due tempi con apparati sia all’alimentazione che allo scarico gestiti elettronicamente, magari col rapporto di compressione variabile.
Bene, il giorno in cui ciò sarà possibile credo che si potrà anche correre il rischio di ritrovarci un 2T sotto i cofani delle nostre auto. La prima auto di questa generazione non me la lascerò scappare, ve lo potete immaginare di andare in giro con uno scarico fatto a mano, composto da almeno 4 mega espansioni che fuoriescono dal cofano? ||
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