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DUAL | VIAGGIO IN PAMIR

Testo e foto di Daniele Donin

A volte le esperienze più belle vengono dal caso, altre volte invece nascono dai sogni. Quei sogni che ci svegliano nella notte e che ci tolgono il sonno, che ci fanno battere forte il cuore non appena apriamo la carta stradale sul tavolo della cucina, tra caffè e biscotti. Scorrendo con il dito tra le curve e i rettilinei senti già l’emozione di attraversare quelle valli ombrose, quelle strade nascoste tra gli alberi, quelle pietraie arse dal sole, quelle steppe desolate, quelle piste polverose che corrono oltre orizzonti stranieri, laggiù, dove non sei mai arrivato, oltre i tuoi confini. E allora senti che non sei tu a decidere la tua strada, ma che è lei a chiamarti. Noi motociclisti siamo così, perché non abbiamo bisogno di capire, ci basta sentire.

 

AK-BAJTAL-PASS-GORNO-BADAKHSHAN

E io l’ho sentita di nuovo. Ancora una volta la strada è venuta a svegliarmi per portarmi oltre me stesso, oltre il conforto delle abitudini, nelle difficoltà di quei luoghi lontani del pianeta e della mia anima, dove sarei stato solo con la mia motocicletta a sfidare la parte più nascosta e libera di me. So che non sarà facile, per niente, perché la strada che mi vuole è impegnativa, fredda, difficile, e corre a più di 4.000 metri ai confini di un mondo in guerra da sempre. Ma se ascolto il cuore so che non devo avere paura: è la M41 “Pamir Highway”.

 

KAZAKHSTAN

Mi organizzo col lavoro, il tempo che ho a disposizione non è molto, e sono costretto a percorrere solo l’andata e di spedirla in aereo al ritorno, da Tashkent. Si è aggiunto poi anche un imprevisto lavorativo che complica tutto in un periodo difficile per il rigido clima continentale dell’Asia Centrale a quelle altitudini molto elevate. Alla fine il mio sogno viaggerà sul filo delle tre settimane, tra aprile e maggio, giusto il tempo delle ultime nevicate e delle distese di fango.

Devo richiedere parecchi visti e alcuni paesi hanno tempi lunghi e soprattutto nessun consolato in Italia, così inizio mesi prima. Ho deciso di percorrere l’Europa dell’Est, poi in Kazakhstan incrociare la via della Seta fino a Tashkent, in Uzbekistan. Superata poi la valle di Fergana salirò rapidamente su una delle catene montuose più alte del pianeta e imboccherò la Pamir Highway che mi farà fare un lungo anello tra Kirghizstan e Tajikistan per poi riportarmi in Uzbekistan, a Samarcanda, ultimo passaggio prima del rientro via aereo.
Il tempo corre veloce mentre preparo la mia “kammella” per la nuova avventura. È una BMW GS 1200 ADV del 2008 che mi ha accompagnato ovunque nel mondo per quasi 300 mila km, Asia, Europa, Africa e Americhe, e che si è guadagnata questo nome grazie all’instancabile indole e l’immensa capacità di carico.

 

M41 GULCHA SARY TAS

Sarò solo, come sempre, perché sulla strada cerco me stesso, quello vero, senza maschere né filtri, e per trovarlo ho bisogno del silenzio interiore che senti solo nel vento.
Parto a metà aprile nel tepore della primavera, ma dura poco, già in Ucraina incontro le prime tempeste di neve che mi travolgeranno in Russia e in Kazakhstan. I bei colori ai bordi della strada sbiadiscono velocemente e quando supero la frontiera di Belgorod tutto diventa grigio. Ritrovo l’inverno e guido per giorni sotto un cielo scuro che alterna pioggia e neve finchè posso, attraverso venti gelidi che soffiano da nord.

Altre volte ho portato la kammella in condizioni particolari e vado avanti guidando nel freddo finchè la neve sulla strada resta soffice, ma quando il vento e il passaggio delle auto la compatta in ghiaccio sono costretto a fermarmi, si scivola troppo e proseguire è impossibile. Ma le difficoltà spesso rivelano la parte più bella della natura umana, e proprio mentre sono fermo a girare la moto per tornare verso la città si ferma un furgoncino che ci porta oltre la tormenta, ribadendomi che qualsiasi problema può essere un’occasione. E la mia strada da Voronezh continua verso est attraverso l’infinita steppa, che si stende come una pennellata immobile, grigia e ghiacciata. Il freddo a volte mi infila i suoi aghi fin sotto le unghie delle mani e sono costretto a fermarmi nel nulla per cercare un po’ di conforto semplicemente tenendole vicino ai cilindri del boxer.

 

Tremo di continuo, i piedi si intorpidiscono quasi subito e spesso il mio respiro è pesante, ma non mi importa. Qui, nella steppa gelata mi sento vivo, questi respiri gelidi sono unici, questo momento è unico nella mia vita e questo freddo non sta facendo altro che renderlo ancora più speciale. Non dimenticherò mai questi giorni, il freddo patito e il dolore alle mani, ma la moto è il mezzo che ho scelto perché ti regala tutto questo, ti immerge nel mondo, facendo sì che tu possa vivere il viaggio nella sua vera essenza: la strada. La guidi con il corpo e questo la rende parte di te, e te di lei. Supero città vuote, le cui uniche luci accese sono distributori e lampioni che ondeggiano nel vento freddo che spazza i viali deserti.

E finalmente il tempo migliora un po’ e una volta nel deserto uzbeko vengo accolto da temperature più miti che mi ridanno energia tanto da farmi raggiungere la valle di Fergana senza troppi problemi a parte le dogane chiuse e improbabili deviazioni. Eccola, finalmente davanti a me si staglia la catena del Pamir che da subito dimostra la sua natura impervia e poco ospitale: le strade asfaltate scompaiono quasi del tutto e inizio a stare a lungo sotto lo zero. La strada sale veloce su passi che superano di molto le altitudini delle nostre bellissime strade alpine. Il ghiaccio è ovunque e in qualche situazione ho dovuto caricare la kammella su camion e persino su un fuoristrada. Ma ce l’abbiamo fatta e l’emozione di percorrere una lunga pista che sale e scende tra i 4 e i 5.000 metri ha scavato un solco profondo nel mio cuore e nella mia anima.

 

SARY MOGUL valle del kyzyl suu

Superato il Kyzyl-Art Pass, frontiera tra il Kirghizstan e il Gorno- Badakshan, in Tajikistan, scopro un paesaggio fiabesco, onirico. Il mio sguardo si perde tra vette altissime e i riflessi azzurri dei ghiacciai, tra forre scure e crode che si slanciano in un cielo profondo. La pista che mi sta portando in cima al mondo sale tra le pietraie spesso oltre i 4.000 metri, diventa sconnessa e difficile in molti punti nei quali la neve sciolta crea delle pozze di fango ghiacciato, soprattutto tra le decine di tornanti. Ma la mia kammella carica, nonostante l’aria rarefatta non molla. Non c’è nessuno intorno. Respiro questi momenti, vivo questo mondo quasi irreale, nel silenzio profondo che mi abbraccia. Sento che lassù sto ritrovando me stesso e le risposte che cercavo.

Dopo qualche giorno inizio a scendere verso sud e verso la parte di Pamir Highway che corre lungo il confine afgano. La primavera mi compare intorno colorando i terrazzamenti e gli alberi della valle. La pista continua ad essere difficile, soprattutto perché trafficata da giganteschi camion che prendono le curve velocemente e che alzando la polvere mi fanno guidare alla cieca. Sono centinaia di chilometri di tôle ondulée e pietre nei quali la pista corre sul ciglio del dirupo, nella gola del fiume Pyandzh inghiottita tra pareti altissime e montagne brulle. Ad ogni ansa è uno spettacolo di colori. Le tonalità di marrone e grigio di colpo diventano verde smeraldo nelle vicinanze dei villaggi. I terrazzamenti, i muretti a secco, le tipiche case quadrate e sullo sfondo non lontano le vette innevate dell’Hindukush. È l’Afghanistan.

 

Turkistan

Arrancando lentamente tra polvere e sassi dopo qualche giorno arrivo a Samarcanda, ultimo passaggio prima del rientro alla vita quotidiana. Per quanto il Registan sia incantevole, le greggi di turisti mi fanno rimpiangere la solitudine delle piste e dei passi a quasi 5.000 metri.
Ormai sono conscio che anche questa avventura sta finendo, ma la vita è così, tutto passa, non posso fermarla. L’unica cosa che posso fare è cercare di mettere tutta la tenerezza, tutto l’amore che posso, in ogni respiro della mia vita per poter trattenere i ricordi il più a lungo possibile e trasformarli in quello che sono.