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TEST | KTM Freeride E-XC

Testo: Giovanni Sala | Foto: Rodolfo Maraldi

Credo mi avrete sentito mille volte dire che non sono più interessato a far gare, ma poi ogni volta che si presenta qualcosa di particolarmente interessante come per esempio la partecipazione all’ISDE Vintage in Portogallo di oramai quasi due anni fa in sella ad una KTM del 1989, ci ricasco. A giugno il motoclub Chieve a cui sono af liato, ha organizzato il Campionato Italiano Major e, travolti dall’entusiasmo dell’evento, mi hanno chiesto di partecipare alla gara. Sinceramente l’idea di prendere il via con la “solita” moto da enduro non mi affascinava più di tanto, così proprio in virtù dell’ultima apparizione su una moto del passato, ho scelto questa volta di guidare una moto del futuro, la KTM Freeride E-XC sospinta da un propulsore elettrico.

 

 

Una volta accordatomi con KTM Italia, Arnaldo Nicoli mi ha assistito nei preparativi del mezzo. A parte il materiale tecnico classico come gomme e mousse, è stato strano riempire il furgone con batterie di scorta e prolunghe invece che la tanica della benzina, i prodotti per la pulizia del ltro dell’aria ecc. Infatti per partecipare ad una tappa del Major in sella a questa moto elettrica, ho dovuto considerare un aspetto non da poco, ossia quello dell’autonomia. Inoltre la Val Nure dove si è svolto l’evento, è notoriamente un territorio molto aspro con percorsi molto impegnativi.

Una vera e propria gara di enduro preparata a DOC quindi, serviva arrivare preparati!

Come tutti sappiamo la KTM Freeride E-XC è una moto da “escursione”, quindi con componentistiche adatte alle “passeggiate” e non di certo votata al racing. Le sospensioni sono WP con tecnologia Xplor con un diametro da 43 mm e 250 mm di escursione mentre il mono ammortizzatore lavora su sistema PDS con escursione da 260 mm. Il telaio estremamente leggero è costruito in acciaio al cromo-molibdeno imbullonato a sezioni di alluminio, con struttura e misure minori. Anche i freni non sono “racing”, mentre il propulsore elettrico è veramente performante con un’ottima erogazione, facile e potente, come si dice appunto in gergo, un motore “elettrico”.

Le nuove batterie della KTM Freeride E-XC, permettono un’autonomia di circa un’ora e mezzo di enduro vero.

Disponendo di tre differenti riding mode (Economy, Enduro e Cross) ho deciso di utilizzare quella di media potenza “Enduro” sul giro e quella più potente “Cross” in Prova Speciale. Così, sapendo che la gara sarebbe durata sette ore, ho dovuto munirmi di ulteriori due batterie supplementari ed altrettanti carica batterie.
Tra un C.O. e l’altro ho messo in carico a rotazione le batterie e, così facendo, sono riuscito a percorrere tutti i sei C.O. e le sei Prove Speciali in quanto sono necessari 110 minuti per una ricarica completa e 75 minuti per raggiungere circa l’80%… leggi tutto il test su Endurista Magazine 71 in edicola oppure acquista la tua copia da nostro sito CLICCANDO QUI!

DUAL | Ecuador, Tour de la Naranja

Testo: Giovanni Sala
Foto: KTM Ecuador

Avendo iniziato nel lontano 1995, a viaggiare in sudamerica per partecipare a gare e garette, (nel senso che alcune erano titolate mentre alcune semplici manifestazioni internazionali o addirittura nazionali) ho avuto diverse occasioni per conoscere molti paesi in questa parte del globo. Solitamente approfittavo della trasferta fatta per trascorrere qualche giorno in più da turista e conoscere, oltre ai boschi, fettucciati e mulattiere, le abitudini e lo stile di vita dei latino americani, oltre naturalmente, a visitare le cose più interessanti e gli incredibili spettacoli della natura che questi paesi sanno offrire.

A chi piace lo stile di vita ancora un po’ “retrò” e diciamocelo pure, un po’ disordinato, in un contesto di modernità ed evoluzione, potrebbe apprezzare gli usi e costumi di questi popoli. Basta uscire dalle grandi città, dove i centri commerciali e i negozi dei brand più conosciuti a livello mondiale la fanno da padrone, ed avventurarsi nelle località nelle zone più rurali, per vivere situazioni al confine della realtà e dalle forti contraddizioni. Per esempio ho visto un campesino fendere la terra con i buoi dove in una mano stringeva l’aratro e nell’altra lo smartphone oppure, il ritrovo domenicale dove tutti arrivano in sella al proprio animale, cavallo o asino che sia. Insomma, paesi che riescono ancora a stupire vivendo contrasti fortissimi.

I paesaggi inoltre, che il sudamerica riesce ancora ad offrire, sono veri spettacoli della natura dove la naturalezza dei luoghi è rimasta incontaminata. Posti dove l’uomo vive il territorio limitandosi a coltivarlo accontentandosi dei soli prodotti che la natura offre. Certo dispiace molto, ma spesso alcune situazioni sono frutto della povertà dove per molti, anzi tantissimi, l’economia non riesce a decollare costringendoli a vivere di poco.

Di solito però, quando un paese non ha un’economia importante, è ideale per il fuoristrada. Intere aree dove i locali si muovono ancora a bordo di animali e l’asfalto lo si trova solo nel centro del paese. Chilometri di sentieri e sterrati che portano alle Fincas più remote, insomma, un paradiso per viaggiare in off-road in mezzo alla natura e godendosi paesaggi esotici di rara bellezza!

Nei paesi sudamericani il ceto medio è una cosa rara. Diciamocelo pure, ci sono i ricchi e i “poveri”. Ho volutamente messo la parola poveri tra virgolette, perché è una povertà non tanto profonda come quella che si può trovare in Africa. Infatti frutta e verdura non sono rare e come citavo prima, ci si può imbattere nel contadino con il telefono. Capirete che chi si può permettere di acquistare una moto da fuoristrada, e quindi si trova in una classe agiata, ha una particolare sensibilità per i locali meno fortunati, preferendo consumare e spendere i soldi dando un incentivo e spesso lasciando mance consistenti, nelle zone più povere.

Mentre state leggendo vi chiederete se ho preso lavoro presso la “Pro Loco sudamerica”, ma in verità è per introdurvi ad uno dei più belli Rally Adventure Tour di KTM, svolto in Ecuador e denominato il Tour de la Naranja.

Questo tour è stato organizzato da Alberto Jaramillo, che collabora con KTM Ecuador, un amico conosciuto quasi per caso nel 2010 quando alla Dakar, nel ruolo di Team Manager di Marc Coma, mi trovavo fuori dal bivacco di Arica. Alberto avendomi riconosciuto, dopo le foto di rito mi ha iniziato a parlare dell’Ecuador, paese che tra l’altro già conoscevo per via dell’enduro. Quella volta ci lasciammo con la promessa che prima o poi mi avrebbe coinvolto per un giro in fuoristrada diverso da quello che già conoscevo, ovvero in sella alle grosse enduro bicilindriche.

Sono sempre rimasto in contatto con Alberto, ma per una cosa o per l’altra non siamo mai riusciti a organizzarci. Di tempo ne è passato tanto ma quest’anno finalmente, siamo riusciti a vederci. La particolarità di questo “Tour della Naranja”, a differenza dei precedenti è che Alberto ha aggiunto alcuni giorni al giro, per permettermi di conoscere i tanti percorsi dell’Ecuador, oltre a farmi valutare la possibilità di organizzare tour anche per qualche motociclista Italiano.

In virtù dei tanti giorni e dei diversi chilometri prevalentemente in off road, Alberto ha appositamente limitato il numero dei partecipanti. Gli amici del gruppo di KTM Ecuador hanno preso d’assalto le iscrizioni. Un gruppo affiatato e dove più o meno i partecipanti si conoscono tutti, si è rivelato un grosso vantaggio. I piloti sono poco più di trenta con vari livelli di guida. Inizialmente l’intenzione era di dividersi in tre gruppi, i meno capaci sarebbero partiti per prima e poi via via a seguire i più veloci e in fine gli “smanettoni”.

Le cose però non sono andate così. Il ritrovo la mattina è pianificato alle ore 6 in una stazione di servizio nella periferia di Quito. Al momento della partenza, un pilota si è reso conto di aver dimenticato il casco a casa. In quel momento è uscita la “magica filosofia” sudamericana. Nessuno si è arrabbiato, tutti hanno rimesso la moto sul cavalletto e sono ritornati al bar facendo fare affari d’oro al gestore.

 

In generale, i sudamericani sono dei veri burloni, e tutti l’hanno presa ridendoci sopra. Per il “poveretto” però, sono stati quattro giorni di inferno. Avendogli dato un’occasione del genere potete immaginare che due palle gli han fatto per tutta la vacanza. Ad ogni occasione veniva schernito, ma soprattutto era ormai l’appiglio che permetteva a tutto il resto del gruppo di fare ritardi nel corso della giornata.

Così, con un’ora e mezza di ritardo, il gruppo è partito unito e non scaglionato. Tutti insieme tra entusiasmo, foto, impennate e sgommate, ci siamo diretti verso la prima tappa che attraversava la provincia Cotopaxi, su strade di San Pietrini insidiosi che hanno mietuto le prime scivolate. Il gruppo è passando a ridosso dell’omonimo vulcano e si sono imboccate piste di sabbia vulcanica nera divertentissima. Poi verso Sigchos, in una discesa sterrata che da 4100 mt d’altitudine ci ha portati in direzione Manà per arrivare a Quevedo che si trova quasi al livello del mare.

Non ricordo d’aver mai fatto così tanta discesa in vita mia. Peccato che il fondo sassoso ci abbia obbligato a diverse soste a causa delle forature. Anche nel resto del giro, le forature si sono sprecate obbligandoci a soste lunghissime. Una volta poi, terminate le camere d’aria di scorta, ad ogni foratura si doveva salire in sella ad un compagno con la ruota e cercare la “Vulcanizadora” nei paraggi. Queste soste si sono convertite in lunghe chiacchierate ma sempre senza grandi lamentele. L’unica regola decisa all’unanime è stata quella che, in caso di problemi, era obbligatorio tentare il tutto per tutto per raggiungere le zone fornite di birra Cerveza!

A Quevedo ci siamo rifocillati con le libagioni tipiche della zona e dopo un paio di birre tutti a dormire visto che l’indomani la partenza era prevista di primo mattino.

Ahimè, nel momento di partire una 1290 ha già la gomma a terra quindi di nuovo moto sul cavalletto e giù il casco. Partiti con 40 minuti di ritardo l’adrenalina sale alle stelle. Qualcuno la manifesta con un’impennata che finisce in un ribaltamento. Targa accartocciata e radiatore che perde. Un’altra mezz’oretta persa per la caduta nel tentativo di arginare la perdita del radiatore, cosa che si rivela impossibile quindi moto sul furgone dell’assistenza e il resto del gruppo riprende il via.

Questa seconda tappa ci ha portato fino ad un luogo meraviglioso chiamato Humedal, un’area protetta dal Ministero dell’Ambiente ricca di flora e fauna tipica delle zone lacustri. La zona è spesso soggetta ad inondazioni nel periodo delle piogge, ma quando l’acqua si ritira gli agricoltori ne sfruttano il terreno emerso per le coltivazioni trovando una terra ricca e fertile che si rinnova con le piene. Nel periodo di secca resta comunque un fiume dove una zattera ne consente l’attraversamento.

Alberto conosce bene la persona che muove manualmente la zattera a corde, quindi ha pianificato il pranzo dopo un bagno rinfrescante nelle acque del fiume. Nell’attesa, tra un brindisi e l’altro nelle loro scodelle ricavate da non so quale frutto, un 1190 necessita di riparazione. In una caduta, giusto prima dell’attraversamento del fiume, il carter frizione si è danneggiato insieme alla leva del freno. Con un pik-up scassato e fumante hanno raggiunto una saldatrice.

Finalmente è ora di pranzo e il menù prevede gallina vecchia bollita. Davvero saporita ma dura come un sasso, per i locali è il pranzo più prelibato, da consumarsi solo nelle grandi occasioni, e tutti noi l’abbiamo apprezzata come fosse caviale del baltico! Caffè e via, verso Abras de Mantequilla en Vinces percorrendo piste veloci e polverose tra vegetazione equatoriale calda e umida della Provincia di Manabì, e altre forature.

Visita d’obbligo con rinfresco per tutti i partecipanti al concessionario KTM di Pedernales che tra l’altro organizza l’omonima gara Baja Pedernales, il più importante rally in Ecuador e che aspetta solo che qualche Europeo vi prenda parte. Naturalmente abbiamo dedicato un po’ di tempo ad un pseudo corso di guida su piste con le grosse enduro dove, dando qualche consiglio sulla posizioni di guida in frenata e accelerazione sul fondo sconnesso, quelli meno capaci hanno migliorato il loro stile. Consigli ripagati a suon di birre!

Attraversando villaggi sperduti nelle foreste, chiedere informazioni per restare sulla pista giusta è stata una grande impresa. I locali infatti non conoscono più in la di dove arriva il loro cavallo, ovvero al villaggio successivo e ad ogni Pueblo, ci si devea fermare per avere informazioni sui seguenti chilometri. Ah ecco, mi ero dimenticando che il tour è stato appositamente organizzato senza l’uso degli strumenti di navigazione ma con semplici cartine dettagliate (ovviamente lo smartphone in caso di urgenze, era nelle tasche di tutti).

La tappa termina sulle coste di Manta, dove si trova uno dei maggiori porti del paese purtroppo raso al suolo nel 2016 da un terremoto di Magnitudine 7.8. Ora gli edifici sono prevalentemente fatti di legno e l’economia cerca di risollevarsi grazie al turismo locale. Noi abbiamo contribuito “invadendo e svuotando” le dispense della cucina di un tipico ristorante dove abbiamo mangiato prelibato pesce dell’Oceano Pacifico che abbiamo apprezzato di più della gallina bollita.

Belli “allegri”, abbiamo raggiunto Cojimìes dove ci aspettano le capanne a bordo spiaggia per passare la nottata. Essendo l’ultima serata del tour ci siamo lasciati andare in una festa memorabile. Dopo la cena ecco le gare di planchazo, ovvero, spanciate in piscina. Vince chi fa più rumore e sposta più acqua. Io per fortuna sono nella “commissione giudici”. Mai riso tanto in vita mia mentre storie buffe si raccontano a nastro. Ci siamo coricati a notte fonda ridendo ancora sotto le lenzuola.

Il giorno seguente colazione e via verso il ritorno alla Capitale percorrendo ancora belle piste che ci riportano in quota. Quito infatti si trova a 2900 mt d’altitudine, percorrendo foreste con vari attraversamenti di fiumi e zone fangose. Ad un certo punto, il meteo avverso ci consiglia di imboccare la strada asfaltata perché nebbia e pioggia incominciano a farsi insistenti e con le grosse enduro avanzare incomincia ad essere impegnativo. Così, abbiamo raggiunto la capitale percorrendo il sinuoso nastro d’asfalto.

Il Tour della Naranja si è ufficialmente chiuso con la foto al monumento chiamato: Mitad del Mundo, punto dove l’emisfero si divide tra settentrionale e meridionale sulla latitudine 0°0’0” Ora Alberto sta lavorando per organizzare il Tour della Naranja a livello internazionale predisponendo moto a noleggio e proponendo pacchetti turistici dedicati anche alle famiglie con visite nelle migliori zone turistiche dell’Ecuador.